Ultimamente il termine “naturale”, o peggio “naturale al 100%” compare sulle etichette di una infinità di prodotti alimentari.
E imperversa anche negli spot in TV o nelle pubblicità della carta stampata!
Persino il pet food è ormai vantato come “naturale”.
L’uso in questi contesti vuole evocare l’idea che quel cibo non è artificiale, artefatto o sofisticato, ma fresco, genuino.
Ma è utile riflettere un attimo sul senso e sulle ragioni di questo impiego relativamente al cibo!
Ecco perciò i 7 motivi per diffidare del temine “naturale”:
- Tutto è naturale, compresa la plastica!
Essa si ricava infatti dal petrolio (dal termine tardo latino petroleum, composto da petra “roccia”, e oleum “olio”, cioè “olio di roccia”), che, a sua volta secondo la teoria biogenica, è costituito da organismi unicellulari marini vegetali e animali (fitoplancton e zooplancton) rimasti sepolti nel sottosuolo centinaia di milioni di anni, in particolare durante il paleozoico, quando tale materia organica era abbondante nei mari.
Dunque, per la proprietà transitiva, se il petrolio è di origine “naturale”, anche la plastica è “naturale”!
Per non parlare poi del carbone, anch’esso di origine “naturale”.
Dalle osservazioni paleontologiche, stratigrafiche e sedimentarie si è appurato che il carbone si è formato prevalentemente a partire da piante cresciute in ecosistemi paludosi.
Quando le piante morirono, la loro biomassa si depositò in ambienti subacquei anaerobici, il basso livello di ossigeno presente prevenne il loro decadimento, impedì l’ossidazione, la decomposizione e il rilascio di biossido di carbonio.
La nascita e la morte di generazioni successive di piante formarono spessi depositi di materia organica lignea non ossidata, in seguito ricoperti da sedimenti e compattati in depositi carbonacei come torba, bitume o antracite. Possiamo trovare tracce del tipo di piante che ha originato un deposito nelle rocce scistose o nell’arenaria che lo ricopre o, con tecniche particolari, nel carbone stesso.
Ecco dunque una ragione dell’assoluta vaghezza del termine “naturale”.
Che poi il carbone, ma soprattutto il petrolio e la plastica siano tra i principali imputati nella devastazione del nostro habitat, è un’altra storia! - Tutta una serie di termini, impiegati nell’ambito degli alimenti, sono regolamentati da leggi e prescrizioni.
Facciamo alcuni esempi:
• DOP, IGP, DOGC, STG, ecc. sono termini normati da leggi e da rigorosi disciplinari (regolamento (UE) n. 1151/2012);
• Senza glutine, senza lattosio, senza zuccheri, senza grassi, ecc. sono normati dalle leggi sull’etichettatura. Ognuno di questi claims ha regole precise che ne definiscono l’ambito di applicazione (regolamento (UE) n. 1169/2011);
• L’agricoltura biologica è a sua volta rigorosamente normata, in tutti i suoi aspetti: la coltivazione, l’uso di concimi e fitofarmaci, l’allevamento degli animali, così come la trasformazione dei prodotti (regolamento CE n. 834/2007);
• Acqua minerale: è l’unico alimento per cui è normato il termine “naturale” (direttiva 2009/54/CE).
“Le acque di cui al primo comma possono formare oggetto di tale riconoscimento solo se l’autorità competente del paese ove le acque sono estratte dal suolo abbia accertato che esse sono conformi alle disposizioni dell’allegato I, parte I, e che si è proceduto a controlli regolari dell’applicazione delle disposizioni dell’allegato II, punto 2.”
• Gli aromi hanno una precisa norma per potersi definire “naturali” (regolamento CE n. 1334/2008). Il regolamento afferma:
“Al fine di fornire una corretta informazione ai consumatori il nuovo regolamento detta, fra l’altro, disposizioni specifiche per l’uso del termine di “aroma naturale”.
In particolare, se sull’etichetta di un prodotto alimentare è usato nell’elenco degli ingredienti il termine naturale per designare un aroma, i componenti aromatizzanti utilizzati devono essere di origine naturale almeno per il 95% (p/p), mentre il restante 5% può essere usato soltanto per standardizzare o per conferire, ad esempio una nota più fresca, pungente, matura o acerba all’aroma (articoli 16 e 29 del regolamento (CE) n. 1334/2008)”.
Quindi in realtà gli aromi “naturali” possono esserlo anche solo al 95%, essendo la restante parte di sintesi. - Il termine “naturale” in tutti gli altri casi non è al momento sottoposto ad alcuna normazione.
Può dunque essere usato in modo proprio e soprattutto improprio, senza sottostare a nessuna regola!
“SAFE (Safe food advocacy Europe), organizzazione non governativa che si occupa di sicurezza dei prodotti alimentari, ha analizzato la composizione di centinaia di prodotti disponibili sul mercato scoprendo che la maggior parte degli alimenti che usano questo claim in realtà contengono sostanze chimiche sintetiche, ben lontane da poter essere considerate naturali.
L’ong ha quindi aperto la campagna “We value true Natural” per sensibilizzare sul tema e chiedere una normativa che permetta ai consumatori di individuare i prodotti veramente “naturali”.
Secondo l’ong, l’attributo “naturale“ è sempre più attraente per i consumatori e tende a essere associato con caratteristiche positive, come salutare, privo di sostanze chimiche di sintesi, biodegradabile, non processato, senza Ogm o addirittura biologico. Questi riferimenti dovrebbero essere avallati da un sistema di etichettatura affidabile.” - A questo punto viene in mente il grande scrittore italiano Achille Campanile, autore di un memorabile pezzo teatrale intitolato “L’acqua minerale” in cui l’esilarante gioco di parole con il termine “naturale” sfocia persino nella discussione sul figlio “naturale”.
Il link al pezzo teatrale, recitato da Eros Pagni, Magda Mercatali e Camillo Milli.
Se ci fosse ancora Campanile, avrebbe sicuramente scritto qualcosa di esilarante su “100% naturale”, il termine che più ricorre sui cibi in commercio!
Non capita mai di leggere un’etichetta di un prodotto con scritto “30% naturale”, chissà perché?
In realtà i prodotti destinati alla nostra alimentazione sono solo e sempre “100% naturale”! - Riprendiamo la riflessione.
Il termine “naturale” si rivela una comoda copertura di qualunque scelta produttiva a monte del prodotto stesso, buona o meno buona
Facciamo degli esempi:
• intanto gli alimenti trasformati non sono mai costituiti da un solo componente. Ci sono quasi sempre additivi, coadiuvanti tecnologici, aromi, ecc., approvati per legge nel loro impiego. Sono elementi che difficilmente possiamo definire come “naturali”, essendo prodotti ottenuti dall’uomo e non presenti in natura.
• ci sono numerose sostanze che si ricavano con biotecnologie anche spinte, che riproducono la molecola “naturale”, ma il processo per ricavarla è tutt’altro che “naturale”.Un esempio emblematico è l’acido citrico, che non si ricava spremendo limoni, ma per ragioni di minore costo, utilizzando culture di lieviti modificati geneticamente;
• e che dire del vino? Sono oltre 100 i coadiuvanti tecnologici e gli additivi che possono essere utilizzati per produrre il vino.
Per citarne solo alcuni: l’anidride solforosa, le proteine dell’uovo o del latte, la gelatina e la colla di pesce, l’acetaldeide, il dimetildicarbonato (DMDC), l’acido meta-tartarico, l’acido-ascorbico, la gomma arabica, la bentonite, il caseinato di potassio, il biossido di silicio, gli enzimi pectolitici, i tannini, gli idrolizzabili, i polialcoli, il glicerolo, ecc. ecc. ecc.
Non vi gira la testa, anche senza aver bevuto?
Chissà se il vino, che Noè produsse e con cui si ubriacò, era “naturale”. Di certo quello attuale lo è molto meno. - In linea di principio, a rigore di logica, nessun cibo prodotto dall’uomo è “naturale”, essendo il risultato di una trasformazione.
In pratica solo i prodotti spontanei della terra, come i funghi, le mele, le arance e simili. Possono essere strettamente definiti “naturali”.
Il regolamento CE n. 852/2004, all’art. 2 distingue in
“prodotti primari: i prodotti della terra, dell’allevamento, della caccia e della pesca”.
“prodotti non trasformati: prodotti alimentari non sottoposti a trattamento, compresi prodotti che siano stati divisi, separati, sezionati, affettati, disossati, tritati, scuoiati, frantumati, tagliati, puliti, rifilati, decorticati, macinati, refrigerati, congelati, surgelati o scongelati”.
“prodotti trasformati: prodotti alimentari ottenuti dalla trasformazione di prodotti non trasformati. Tali cibi possono contenere ingredienti necessari alla loro lavorazione o per conferire loro caratteristiche specifiche”.
Il vino, fatto partendo dall’uva “naturale”, si ottiene con la spremitura, la fermentazione e altre operazioni. Dunque è fatto con un frutto “naturale”, ma non è un prodotto della natura. E’ fatto dall’uomo! - Per il consumatore del XXI secolo il termine “naturale” è sicuramente un termine confortevole, rassicurante, pacificatore.
Viviamo in un mondo sempre più tecnologo, perlopiù alienati dalla natura, nostra e dell’ambiente, siamo frastornati, intimiditi e disorientati da mille messaggi.
L’affermazione di naturalità di un prodotto alimentare ci rimanda ad un ambito primitivo, ancestrale, percepito come sicuro e sano, una mitica età dell’oro.
Ma si tratta di un basso inganno del neuromarketing.
Si gioca sulla percezione influenzata dai miti degli illuministi, il mito del buon selvaggio, il mito della natura buona di Jean-Jacques Rousseau.
Certo neppure Rousseau pensava si potesse ripristinare l’eden primitivo. Ma il neuromarketing, con le sue sottili seduzioni evoca nel consumatore l’illusione del recupero del paradiso perduto.
E getta l’amo del “naturale”. Rassicura il consumatore, come una madre affettuosa, e lo induce a credere che il consumo di quel prodotto è buono, per lui stesso e per il mondo!
Cari amici, dunque attenzione. Quando scendete nel mare dei supermarket state attenti alle sirene. Tappatevi le orecchie, e aprite gli occhi, come novelli Ulisse. E ricordate: “Timeo Danaos et dona ferentes” (Temo gli Achei che portano doni). Il termine “naturale” è nella pubblicità un moderno cavallo di Troia, che porta doni inconsistenti!